UMBERTO BRAVO - Sacred Sinner

23.01.2023

Gli anni tra la caduta della discomusic (fine '70) e l'ascesa della house (seconda metà degli anni '80) tendono a essere sorvolati quando si parla di musica pop, ma esiste un archivio di produzioni musicali dal suono synth-pop che aspettano solo di essere riscoperti e, dalle nuove generazioni, scoperti per la prima volta. Chi c'era, ha ascoltato e sa. 

Il retaggio sintetico di quegli anni, tuttavia, è vivo ancora oggi, nonostante il reggaeton e la music trap, e al di là della geografia. I figli dello spettro sonoro delle tastiere alla A-Ha tornano a reclamare la loro gioia di essere esistiti e continuano a farsi sentire anche nei brani dei produttori musicali che, allora, non erano ancora nati. 

Al di là del revival, della moda del campionamento con l'uso facilitato dei controller odierno e della necessità della gran parte dei produttori musicali di oggi di introdurre il suono cool di quei synth, quello che conta è il risultato sonoro. Poco importa che sia l'ennesimo tormentone che attinge da quella produzione di chi gli anni '80 li ha vissuti musicalmente e sulla propria pelle, se la testimonianza sonora è godibile, e non alla stregua di un plagiarismo sterile fatto di copia e incolla.

E' il caso di Umberto Bravo, artista nostrano, pressoché sconosciuto che, da un'attenta analisi dei suoi primi due singoli (di cui 'Sacred Sinner' appena sfornato), incarna tutte le caratteristiche di quegli artisti che sembrano aver interiorizzato quel suono. E' Italianissimo, ma scrive e canta in Inglese, oltre a produrre la sua musica. Dalla sua bio sappiamo che è stato vocalist turnista per eventi internazionali in giro per il mondo oltre ad essere stato il frontman dei The Prog-Ram Band, una band tributo al progressive rock. 

Oggi, scrive e compone i suoi pezzi e li arrangia a quattro mani con colui che è anche il regista dei suoi video, Luca Bizzi, anch'egli compositore. Non un'operazione virale alla Eiffel 65 che nel 1998 con 'Blue (Da Ba Dee)' svettarono nelle classifiche in gran parte del globo, e non si può fare altro che abbandonare tutti i pregiudizi legati al bisogno di catalogare l'artista e la sua musica per evitare di inscatolarlo in un genere ben preciso, in un dove-nel-mondo ben preciso, in una vocalità ben precisa. 

La musica è libertà, e come tale, dovrebbe essere lasciata libera di scorrere e passare per le orecchie fino ad arrivare alla mente, al cuore, al corpo. E bisogna ascoltare liberando la mente, senza pensare di poter essere delusi o doversi ricredere.


"Sacred Sinner" di Umberto Bravo ha il sapore di una fantasticheria alla deriva, e arriva come una seduzione nello spazio liminale, come un'eco di ritorno. Succede a chiunque ascolti un brano per la prima volta di voler ricondurre quel suono a qualcun'altro. La psicologia ci insegna che ciò succede però quando si è di fronte a qualcosa di originale, che può destabilizzare, perché spesso il nuovo fa paura in quanto non si possiede (ancora) un codice per interpretarlo. 

Ma il nuovo di Umberto Bravo non fa paura, anzi, il suo nuovo è un prodotto di elementi del passato fusi con tematiche e ritmiche odierne e sempreverdi. Da subito, dalle orecchie alla mia mente, le rimembranze di band storiche dell'electropop dei Depeche Mode, dei Duran Duran, ma anche di artisti come George Michael, Chaka Khan e Prince, invadono la mente. 

Ma gli elementi che si confondono sono troppi e, mollando la ricerca nel proprio archivio di ascoltatore, 'Sacred Sinner' di Umberto Bravo prende forma propria. E' strutturalmente una canzone pop, pur attingendo al soul e al gospel nel modo in cui spesso fanno canzoni r&b, demandando ai backing vocals il momento del culto. 

Addentrarsi nella vivisezione del brano con un orecchio musicale critico può fuorviare, anche se è bene cercare di coglierne gli elementi, e distinguerli. Nel ritornello, infatti, le voci di backup che arrivano, suonano molto come un coro gospel (in realtà, tutte le voci sono incise dall'autore), ma Umberto Bravo non scimmiotta le voci in tunica nera di Harlem, non ci prova neanche, anzi, il suo canto arriva quasi sommesso, ma non di certo sottovuoto. 

E' un canto tenero e rassicurante su una melodia evidentemente ben congegnata, anche se, proprio per questo, non immediata. Le chitarre e la batteria riportano invece un'atmosfera che strizza l'occhio al funky, ma in maniera molto gentile, conferendo al brano un andamento che tende al mid-tempo, rispetto che a una ballad. E' un brano che che necessità più ascolti, ma già durante il primo arriva qualcosa di interessante, o quantomeno, degno di approfondimento.


La maggior parte dei vocalist bianchi, nel cimentarsi con un genere black, raschiano, ululano e esagerano, facendo una versione pantomima della musica nera americana. Umberto Bravo avrebbe potuto indulgere in quelle teatralità, ma non è quello che fa in 'Sacred Sinner'. E' controllato e quasi ansimante, invece. 

Diventa più forte a mano a mano che la canzone va avanti, ma per gran parte di 'Sacred Sinner', Umberto Bravo sembra quasi sussurrare un racconto. Non spinge mai troppo forte, non si estende mai troppo. Sembra miri piuttosto ad una chiarezza emotiva, al servizio di un messaggio concettuale e musicale, attraverso la voce.


'Sacred Sinner' è una traccia lunga e allungata - forse un tantino troppo, onestamente. Considerati i tempi radiofonici di un singolo, farà non poca fatica ad essere presa in considerazione, a meno che non la si tagli intorno ai classici 3 minuti e poco più: minutaggio da rispettare se si vuole ottenere che il brano vada in programmazione. Ma anche se il brano si estende per quasi cinque minuti, lo fa in maniera ben articolata, sia musicalmente che liricamente. 

È anche audace, e non solo perché la sua sensibilità sonora è così lontana dall'ortodossia pop di questo momento. Non è una canzone d'amore, ma è una canzone che allude alla trasgressione, al gioco di ruolo e alle mutevoli dinamiche di potere. Canta di voler diventare la persona più importante nella vita di qualcuno. 

È un romantico, Umberto Bravo, e non canta di voler essere un amante, anche se è costretto a esserlo. Vorrebbe invece essere l'unico, ma delle liriche del brano e della loro interpretazione è sempre meglio lasciare all'ascoltatore la possibilità di trarne le proprie considerazioni, sebbene in questo caso, sia chiaro ed evidente che trattano di un argomento esplicito.

"Continuamente/Desidero il tuo respiro/Vagare sulla mia pelle". Anche senza cogliere il sottotesto, l'incipit del brano è un approccio alla seduzione straordinariamente poetico. È sensuale e mistico, poetico e irriverente. Non c'è niente di pacchiano o addirittura scandaloso in questo. Al contrario, Umberto Bravo ci presenta nel testo, con disperata sottomissione, l'idea della trascendenza attraverso la carnalità, della cui forza, forse, anch'egli è ignaro, fino ad arrivare a rendersene conto, rapito dall'estasi dei sensi, tra fuoco e fiamme. Se questo non fosse chiaro a parole, il video ufficiale del brano ne dà una interpretazione ancora più forte.

Il concept è scomodo in maniera originale, e arriva come una nenia di prefiche, tanto da scambiarla per una classica Love Ballad. Tuttavia, un rapporto carnale tra due che non sembrano avere urgenza di coronare il loro sogno d'amore davanti ad un altare mentre un quartetto di violini intona l'Ave Maria di Schubert, non sembra essere proprio il concept di una nenia.

Umberto Bravo, per dirla chiaramente, parla del concetto di dover accontentarsi del ruolo di amante in una coppia aperta, o come dicono gli Americani, del ruolo del fuckbuddy, dello scopamico. Ma non lo fa in maniera triviale. Non lo fa neanche in maniera consenziente, non è lui a scegliere di essere vittima della sua carnefice che lo 'sfama con il suo piacere proibito', e solo con quello.

Eh sì. La partner, (o il partner?) ha le redini di questa storia in mano, e relega il 'sacro peccatore' al ruolo di vittima delle condizioni imposte. Ho dovuto leggere il testo molte volte e ho anche dovuto ricorrere al traduttore per capirne le sfaccettature. Il testo trasuda erotismo, come la voce di Umberto Bravo, specie sul finale.

Ma il suo erotismo è disperato, soffocatamente godibile, impaurito. Ben si staglia sull'atmosfera sonora che sembra avvolgere il corpo dell'ascoltatore, in maniera quasi cinematografica, in un crescendo di suoni che creano un manto indefinibile. Ad un quarto ascolto ho cominciato però a vivisezionare il brano, che non è di facile presa.

Chi è abituato ad ascoltare musica pop dalla struttura complessa, di certo non farà fatica a coglierne le sfumature, le intenzioni dietro i cambi di accordi, e magari non passerà al brano successivo in playlist, ammesso di averlo trovato in una.

La linea del basso prende subito il sopravvento nella struttura del mix, anche se avvolto dall'hook della voce di Umberto Bravo, che ci dà un indizio sul ritornello. Dopo la intro che ci riporta alla mente la migliore produzione di fine anni '80 dei, si lascia spazio alle strofe dove rintocchi di vibrafono scandiscono il tempo slow funk, fino all'introduzione delle chitarre acustiche su una variazione della strofa.

Le chitarre muovono il tempo, velocizzandolo e rallentandolo, mentre la voce sembra fare surf, puntuale e sicura, sulle onde sonore, sorretta dalle risposte dei backing vocals. Il bridge che precede l'inciso, è la ciliegina sulla torta del brano, oltre allo special con il cambio di accordo prima del ritornello finale. Umberto Bravo dipinge la melodia in maniera elegante e raffinata, doppiandola e amplificandola con i cori in contrasto agli appuntamenti delle chitarre elettriche.

Si arriva quindi all'esplosione del ritornello, nel quale sono chiari tutti i riferimenti alla musica black, quella del soul e del gospel, che nel secondo ritornello, sono ancora più manifesti. Tutto questo però è solo un assaggio di ciò che accadrà dopo lo special (a cui è riservato il momento di raccoglimento), che esplode in un tripudio corale come a sentenziare una drammatica soluzione.

'Sacred Sinner' ci arriva come una canzone articolata e complessa, dalla melodia che può sembrare non di primo impatto, sebbene morbida e orecchiabile. Saranno gli hook giusti al momento giusto (la linea del basso, la melodia del bridge, il 'But You' del ritornello e l'orchestrazione in apertura e chiusura dello stesso), ma una volta sgomberata la mente dai pregiudizi, si intuisce che Umberto Bravo, forse inconsapevolmente e in maniera credibile, è riuscito ad incastonare una bella melodia avvolta da suoni sintetizzati tipici degli anni '80, mettendoli al servizio della stessa.

E tutto suona bene. Trattasi di esperimento fortunato o di consapevole maestria? Questo non possiamo saperlo. Sta di fatto che una produzione musicale del genere, lanciata come singolo, è una mossa coraggiosa, specialmente per qualcuno ancora così sconosciuto e, soprattutto, autoprodotto. Ai poster(i) l'ardua sentenza.