TWELVE DAYS IN JUNE - Hiraeth
Se hai superato gli "anta" e sei cresciuto a pane e grunge, allora faresti bene ad ascoltare "Hiraeth", l'ultimo e quarto album dei Twelve Days in June, un progetto di Dave Hulegaard originario di Schenectady, città dello stato di New York. L'artista attinge proprio dalla ricchissima eredità che ci ha lasciato il rock alternativo e grunge negli anni '90.
Il nuovo album è nato come una sorta di protesta contro l'evoluzione del panorama rock post-Nirvana, che possono essere considerati senza timore di smentita i più grandi interpreti del grunge anni '90. Dopo i Nirvana sono nate tantissime altre band dai forti connotati grunge, ma col passare degli anni si sono sciolte o hanno virato verso nuovi generi.
Con questo album Dave vuole riaccendere quella passione per la musica grunge, smarrita ma ancora viva. Il titolo dell'album non è stato certo scelto a caso, infatti "Hiraeth" è un termine gallese che rappresenta quel tipo di emozione che si prova quando viene voglia di mettere su una musica triste, perché fa sentire meglio, e indica un forte desiderio per un tempo o un luogo che potrebbe essere scomparso.
"Hiraeth" è dunque un tributo alla musica grunge, ma anche una sorta di capsula del tempo per preservare quel genere che ha scandito la giovinezza di Dave e assicurarsi che quei suoni nostalgici restino vivi anche dopo molti anni.
L'album inizia con un pezzo forte, "Numb", che si presenta con il suo affascinante riff di chitarra e che parla direttamente con l'ascoltatore, una via di mezzo tra una canzone e una chat privata. Il cantante passa abilmente da toni bassi e inquietanti a toni alti e potenti, creando un impatto emotivo molto forte.
"Magic Hour" infonde una potente energia combinando riff esoterici ed eclettici di chitarra, con distorsioni musicali che toccano direttamente l'anima. "The Sea Is a Wishing Well" è un brano più soft, dove i versi si muovono su equilibri più delicati, giocando con immagini poetiche. Con "Undertow" la musica si fa più drammatica e malinconica, per poi arrivare a "The Day I Learned Your Name" che rappresenta una svolta dell'album con il suo tono più "fresco" e caratterizzato da un ritmo soft e per certi versi più "gentile".
Con "Cognitive Distorsion" si ritorna ad un sound più inquietante e ritmato, mentre "Miranda Lawson" è un viaggio affascinante che accompagna l'ascoltatore in un paesaggio sonoro, etereo e onirico. Si rifà vivo un sound nostalgico e malinconico con "Going Home", mentre con "Polymorphic Light Eruption" i versi si fanno più pacati e introspettivi.
La decima traccia dell'album è "The Bittersweet Season", una canzone post-grunge che alterna ritmi lenti e ritmi più veloci. L'undicesima tappa dell'album è "The Wanderer", un pezzo toccante emotivamente che trascina l'ascoltatore in un'atmosfera emotiva vulnerabile ed emozionante. La dodicesima traccia è "Planned Obsolescense", una canzone "dura" e ritmata, e infine cala il sipario sull'album con "Blush", che scrive la parola fine con ritmi dolci e accomodanti.