JOBBALOON - The Invitation
Ci insegnano un sacco di regole, fin da quando siamo piccoli. Ci insegnano cosa dobbiamo e non dobbiamo fare, qual è il modo corretto di comportarsi, come dobbiamo stare seduti o parlare o avere a che fare con le cose e le persone. Ci dicono queste cose perché vivere in una società non è semplice, prevede molti compromessi e delle attenzioni. La verità è che spesso però ci ingabbiano, senza volere, presentandoci strade già tracciate e percorse e impedendoci di esplorare e sperimentare. È dalla rottura di queste regole che spesso nasce la più grande arte.
Il duo psiche-pop Jobbaloon (Joshua Achatz e Justin Squires) è abituato a non seguire le regole, e si vede chiaramente nel loro ultimo album, "The Invitation". Il duo con sede a Detroit è unico nel suo approccio musicale e nella sua identità; si concentrano sul genere psych-pop con un tocco alternative ed elementi rock. Si riferiscono al loro lavoro come a una "esperienza audiovisiva", questo concetto appare molto più chiaro dopo aver sentito la loro musica.
Il duo ha promesso di non essere rappresentato da un'etichetta discografica, non avere legami, e preferisce lavorare come fanno tanti artisti indipendenti che compongono, registrano e producono la loro musica da soli. Joshua Achatz è cantante, chitarrista, pianista, scrittore e co-produttore della band insieme al produttore, Justin Squires. Questo dinamico duo è stato in grado di creare un suono unico e distintivo, che non assomiglia a nessun altro.
L'uscita del loro ultimo album "The Invitation" risale all'anno scorso: un album di otto tracce con una trama interessante in cui ogni canzone porta a quella successiva mantenendo una transizione graduale, scivolando di suono in suono come in un sistema di vasi comunicanti.
L'album inizia con un "Intro", una traccia di appena 30 secondi che ci ripropone l'effetto sonoro di una vecchia radio che cambia canale e alla fine si stabilisce su una frequenza con un uomo che fa un discorso su "l'immobilità e il silenzio con noi"; si passa subito alla traccia successiva, "The Invitation", un brano di un minuto in cui il discorso prosegue ma con sintetizzatori, brani di chitarra fluidi che suonano insieme, un ritmo interessante, pause intriganti e musicali.
Emergono quindi le successive tre tracce: "Bm", "Aligned" e "Baby Blue" servono a condurci in un viaggio di transizioni dell'umore in cui ogni suono e sentimento colpisce un nervo scoperto diverso, ognuno ha un elemento significativo su cui concentrarsi, mentre tutti i brani si fondono perfettamente insieme come se si appartenessero.
Segue "Am", facendo uso di voci e batteria stratificate che tengono sotto saldo controllo la traccia pur risultando svolazzanti ed eterogenee. L'album continua a barcollare con grazia divina sul limitare dell'esplorazione psichedelica: "All I Need" ha melodie forti e si adatta bene alla chitarra e al ritmo basato sul pianoforte, sentiamo che sta per esplodere in qualcosa di nuovo che non sorge mai del tutto e ci lascia una sensazione bellissima di potenzialità trattenuta eppure consumata.
"Days" è destinato a rimanere saldamente ancorato alla nostra memoria con i suoi accordi di chitarra, gli effetti sonori e la semplice linea di batteria. Il ritornello è quasi impossibile da dimenticare e la canzone suona sia assolutamente familiare che come niente sia stato prodotto prima. Un video musicale è stato rilasciato per "Days", con una scena del film del 1952 "Singing in the Rain" che si sincronizza quasi perfettamente con i testi e la melodia.
Melodie, effetti sono e contesto di questo album sono unici, intriganti e francamente divertenti. La band mette in scena spettacoli dal vivo unici nel genere con effetti visivi, proiezioni, fumo, coriandoli e tutto ciò che si può semplicemente aggiungere all'esperienza complessiva adattandosi al contesto musicale e arricchendo tutto.