ASK CAROL - AC I: Control You

13.09.2022

I lockdown del 2020 e del 2021, con le chiusure forzate per fronteggiare l'emergenza pandemica e le persone ritrovatesi in casa loro malgrado, hanno fatto ciò che spesso fanno le tragedie: sono stati terreno fertile per l'arte, hanno generato bellezza dove c'erano solo paura e angoscia. 

È un potere incredibile che l'arte ci dona, e la musica in particolare. Prendere tutto il nostro bagaglio di miserie e far sì che spicchi il volo per esplodere in qualcosa di luminoso quanto il cielo stellato.

Ed è esattamente ciò che hanno fatto gli Ask Carol, duo rock-alternative norvegese composto da Karoline Strømshoved e Ask Thorsønn Borgen che ha saputo reinventarsi e trovare una strada, rinchiusi nel loro rifugio rurale di Auma a Østerdalen, 300 km a nord di Oslo Quando la pandemia ha colpito il settore musicale e tutti i live sono stati annullati, gli Ask Carol hanno ridefinito le loro priorità e si sono riorganizzati. 

Così, anziché continuare a far uscire singoli (come negli ultimi anni) hanno focalizzato le loro energie su un album: ne è nata la loro opera di debutto "AC 1: Control you", un mastodontico lavoro di ben 18 tracce pubblicato dalla loro etichetta Chovan Records. Quasi un'opera cinematografica, con un sottofondo oscuro e malinconico e un sapore musicale che è il perfetto mescolamento di alt-rock e ispirazioni punk, con punte di metal nordico. L'album è un lungo dialogo mentale e interiore, che si concede di indugiare nelle profondità dell'animo umano e di svelarne e portarne alla luce ombre e abissi.


L'album si apre con la title track, una canzone inquietante che combina sfumature elettriche e gotiche. È deliziosa e suggestiva, con la voce di Carol meravigliosamente espressiva. Un climax drammatico e cinematografico, molto evocativo, per dare il via. Procedendo con l'ascolto dell'album si va verso sensazioni più brillanti, con la chitarra elettrica allegra e distorta che imposta il tono. 

Ci sono atmosfere rock classiche che prendono vita nei ritornelli slanciati. Tutto questo lascia spazio alla fine della prima metà dell'album a un'atmosfera molto differente: andando in profondità con i suoi testi e portando un tocco di malinconia al procedimento ci si avventura nella parte più intima e profonda dell'opera. 

Ci si riprende con arrangiamenti punk e liriche audaci, per poi lasciare posto alla punta di diamante. "Darkest Hour" è presente in ben tre versioni e se ne capisce subito il perché: ha una spavalderia psichedelica e un ritmo blues, è il punto culminante del lavoro. La seconda metà dell'album ci presenta l'apice emotivo: l'oscurità viene messa da parte per un momento a favore di pop-rock trascendente. 

Si ritorna poi al blues percussivo incalzante con una voce che oscilla facilmente tra dolce e passionale. Il resto dell'opera presenta una sensazione di urgenza, di bisogno, difficile da ignorare. La sua energia rock ottimista funziona perfettamente, ed è un tempestivo promemoria di quanto siano eccezionali le ultime tracce.

Si esce dall'ascolto svuotati e accresciuti al tempo stesso, sicuramente interessati. È impossibile rimanere indifferenti davanti a un'opera così ricca.

In my deepest darkest hour

Where do I go?

Like a devil on my shoulder

Won't leave me alone